I segreti del Gum dietro le lacrime di Stalin

I Grandi Magazzini Gum in Piazza Rossa a Mosca (Foto: Shutterstock/Legion Media)

I Grandi Magazzini Gum in Piazza Rossa a Mosca (Foto: Shutterstock/Legion Media)

Dal pianto di Stalin per la moglie suicida alla vita dei moscoviti negli appartamenti residenziali: nella nuova Enciclopedia del GUM, redatta dal critico d’arte Grigory Revzin e appena pubblicata a Mosca, sono raccolte le storie che si svolgevano dietro le finestre del grande magazzino più conosciuto del Paese e situato nel cuore della Piazza Rossa

Il GUM ha assolto varie funzioni nel corso della sua storia: da centro commerciale di prim’ordine a magazzino, dove venivano stoccate allo stesso tempo armi e patate. Ospitò per un periodo di tempo anche degli appartamenti residenziali, situati proprio accanto alle corsie dei negozi. Fu qui, poi, che venne pagato l’ultimo omaggio all’élite del partito, costruito il primo razzo a reazione sovietico e presentata un’esclusiva collezione di moda della maison francese Dior.

Il GUM è stato come uno specchio dei tempi, che nel corso degli anni ha riflettuto la vita, tanto reale quanto sognata, dell’Urss prima e della Russia dopo.

Abbiamo scelto quattro fatti da "L'Enciclopedia del Gum" che vi faranno guardare con occhi diversi non solo il grande magazzino ma anche gli eventi della storia russa del XX secolo.

Il centro commerciale dove vivevano i moscoviti

Il GUM, ovvero il Magazzino Universale Statale ha aperto le sue porte nel 1921, su iniziativa di Lenin. Nel 1923, il celebre artista Alexander Rodchenko elaborò il logotipo del GUM - lo stesso che viene utilizzato tutt’oggi - e assieme al poeta Vladimir Mayakovsky progettò una serie di cartelloni pubblicitari, molti dei quali sono ancora visibili lungo le corsie del GUM.

A quel tempo, il terzo piano del palazzo era adibito ad appartamenti residenziali. La moscovita Eleonora Garkunova ha vissuto i primi 25 anni della sua vita presso il grande magazzino, in una stanza con le finestre che davano su via Ilinka. (“Da questo punto di vista, eravamo stati fortunati: oltre a noi, solo un altro vicino aveva le finestre che davano sulla strada. Il resto delle stanze davano sull'interno, sotto il tetto di vetro”). In Piazza Rossa erano registrate dieci famiglie. Le condizioni di vita erano le stesse per tutti. Non c’erano né gas né acqua corrente. Gli inquilini cucinavano direttamente nelle proprie stanze utilizzando stufe a cherosene e si procuravano l’acqua direttamente dai bagni pubblici del GUM, famosi per non essere il massimo della pulizia, e che tutti usavano come servizi. "Alla fine degli Anni '30 all'ingresso del piano interrato di via Ilinka vennero aperti dei bagni a pagamento. Erano puliti e muniti di un asciugatore elettrico per le mani: un vero e proprio lusso. Per poterli usare bisognava pagare 10 copechi, ma io ero più che felice di pagarli. Quando la guardiana venne a sapere che vivevo all’interno del grande magazzino, me li lasciò usare gratuitamente", spiega Eleonora. Suo padre, tra le altre cose, lavorava nel Narkomfin.

La Piazza Rossa vista dal GUM (Foto: TASS)

Alle 8 del mattino, quando aprivano i negozi, i corridoi del GUM venivano improvvisamente invasi da una moltitudine di gambe: erano i dipendenti che si affrettavano a prendere posto nei vari reparti. Gli inquilini del GUM scandivano il loro tempo proprio in base a questi rumori. Ai loro figli, a volte, veniva concesso di guardare film nella sala riunioni - la futura Sala Esposizioni - o di passeggiare nei Giardini di Alessandro.

"Vivere all’interno del GUM non era nulla di sorprendente”, ricorda Eleonora. “La vicinanza al Cremlino non preoccupava nessuno più di tanto e sembrava tutto piuttosto normale". Solo durante le parate, diverse volte l'anno, ci veniva proibito di invitare ospiti, e nella stanza con noi c’era un militare che si assicurava che nessuno degli adulti si avvicinasse alle finestre”.

Questo particolare viene ricordato anche da Igor Kirillov, direttore di Gosteleradio. Egli presentava le parate su Piazza Rossa dal GUM, osservando come procedevano, sul piccolo schermo. Avrebbe preferito di gran lunga sbirciare fuori dalla finestra e seguire dal vivo la sfilata, ma bastava un passo verso di essa e veniva subito respinto dal militare in servizio. "Molti anni dopo mi sono imbattuto in quest'uomo per strada. Mi si è avvicinato e mi ha detto che durante le parate c’erano sempre dei cecchini, lungo tutto il perimetro di Piazza Rossa, con l’ordine di sparare a chiunque si fosse affacciato alla finestra”.

Eleonora Garkunova è vissuta all’interno del GUM fino al 1953. Dopo la morte di Stalin, le attività commerciali all’interno del grande magazzino vennero interrotte e gli inquilini reinsediati altrove. 

Il luogo dove Stalin pianse in pubblico

Nella notte tra l’8 e il 9 novembre 1932, negli appartamenti del Cremlino, Nadezhda Allilueva, la seconda moglie di Stalin e madre di due dei suoi figli, si suicidò. Aveva 31 anni. Si sparò al cuore, due volte: il primo sparo non era stato fatale. "Se l’obiettivo del suo atto era non solo togliersi la vita ma anche punire Stalin, Nadezhda riuscì nel suo intento. Stalin ne rimase sconvolto”.

La bara con il corpo di Nadezhda Allilueva venne esposta per l’ultimo addio presso la Sala Esposizioni, dove oggi si celebrano sfilate e presentazioni. La sala venne aperta al pubblico il 10 novembre e sul GUM si riversò un flusso incessante di persone. Vi è anche un cinegiornale sul funerale civile. È chiaro che molta della gente che vi accorse venne mossa più che altro dalla curiosità. Era l'occasione per vedere da vicino i vertici del Paese. Vicino alla tomba, ricoperta di fiori e corone, sedeva Nadezhda Krupskaya; in piedi attorno a lei Molotov, Ordzhonikidze, Kaganovich e Voroschilov. "E poi c’era Stalin con la faccia gonfia di lacrime, mentre guardava con sguardo penetrante il volto della moglie morta. In quale altra occasione si sarebbe potuto vedere ciò?” Fu l’unica volta, in tutta la vita del leader, in cui Stalin non fu in grado di controllare le proprie emozioni in pubblico. Pianse pubblicamente e ciò stupì anche le persone che lo conoscevano. Fu forse l'unica volta in cui Stalin venne visto come una persona che stava vivendo un dolore personale.

Moscoviti in Piazza Rossa davanti al GUM (Foto: Fotosoyuz/Vostock-Photo)

L’edificio che per ben tre volte ordinarono di distruggere

Non v’è da stupirsi se Stalin fosse pronto a radere al suolo il GUM e a cancellare così la memoria di quel terribile mese di novembre. Firmò il primo decreto che avrebbe portato alla demolizione del grande magazzino nel 1934. Agli inizi degli Anni '30 le attività commerciali presso il GUM erano state praticamente soppresse e il grande magazzino assomigliava a un enorme ufficio ospitante varie istituzioni, dai vari ministeri come il Ministero della Cultura dell'URSS o il Ministero dell'Industria del Carbone all'Unione della Croce Rossa. Al posto del GUM si era deciso di costruire il Ministero dei Ministeri, il Narkomtiazhprom: un edificio gigantesco in stile palazzo italiano ma di dimensioni sovietiche con quattro torri alte 160 metri e collegate da passerelle alte fino a 30 piani che avrebbero permesso ai ministri di riunirsi più facilmente. Secondo i progetti presentati al concorso, gli architetti prevedevano di demolire completamente il GUM e di trasformare la Piazza Rossa in un grande viale. Sul Piano Generale di Mosca del 1935 l’edificio del GUM, di fatto, non compare già più. "Mosca non ha bisogno del GUM. La Piazza Rossa, su cui sorge il Mausoleo di Lenin, è troppo affollata. Essa va ampliata a scapito del GUM", si legge nell’articolo che precede il Piano Generale.

Ciò che sorprende non è che Stalin volesse demolire il GUM, bensì che alla fine esso non venne toccato. Fu il Commissariato del popolo per gli affari interni (NKVD, secondo la sigla russa) a ostacolare la demolizione immediata del grande magazzino negli Anni ‘30. Lavrentiy Beriya aveva il proprio ufficio nella prima corsia del GUM - corsia lungo la quale vigeva la massima segretezza. Beriya si sarebbe rifiutato di approvare la demolizione del GUM finché non avessero costruito, per il suo dicastero, un grattacielo nel distretto di Zaryadye.

Nel 1947, il GUM rischiò nuovamente di essere raso al suolo. Questa volta, al suo posto si progettava di erigere un monumento alla Vittoria: una strana rotonda gigante circondata da tribune. Gli storici ritengono che il GUM rimase in piedi anche questa volta solo perché Stalin non fu in grado di decidere quale aspetto avrebbe dovuto assumere la piazza della sua vittoria.

Il GUM venne infine chiuso per una terza volta nel 1972. Mikhail Suslov, secondo uomo nel PCUS, decise di chiudere il grande magazzino sostenendo che "un mercato non potesse sorgere accanto al mausoleo”. A salvare il GUM, questa volta, una pelliccia, cucita dall’atelier del grande magazzino per la "Granduchessa dell'Unione Sovietica", Galina Brezhneva. Quando si recò al GUM per provarla, i sarti si lamentarono che, qualora si fossero dovuti separare per sempre dai loro clienti, l’atelier avrebbe chiuso. Che cosa avesse poi detto la Brezhneva, infuriata, al padre è rimasto un mistero, ma il GUM è rimasto in piedi. 

La vetrina principale dell’Urss e un’oasi durante il deficit

Nel 1953, dopo la morte di Stalin, il Ministro del Commercio, Anastas Mikoyan, riaprì il GUM dopo un’ingente opera di ristrutturazione, che conferì al magazzino un aspetto totalmente nuovo.

Il nuovo GUM diventò così il simbolo del disgelo, una rappresentazione del nuovo corso: dalla guerra all’abbondanza di beni. Un articolo sulla riapertura del GUM comparve persino sul Time con un ritratto di Nikita Krusciov in copertina.

"Ogni mattino risuonava un annuncio: "Gentili lavoratori, tra cinque minuti il nostro centro aprirà le sue porte. Vi invitiamo a occupare il vostro posto di lavoro e a prepararvi per offrire un servizio esemplare ai nostri clienti". Dopodiché risuonavano i rintocchi dell’orologio del Cremlino, le porte aprivano i loro battenti e la gente iniziava a riversarsi nel grande magazzino. Il GUM si riempiva in meno di cinque minuti”. Ciò nonostante fossero solo le 8:00 del mattino! Mikoyan fondò la fabbrica del GUM e funzionò. Il grande magazzino accoglieva all'anno un terzo della popolazione dell'intera Unione Sovietica.

Nel 1936, Stalin aveva inviato Mikoyan in America per due mesi a studiare l’industria leggera e quella alimentare. Mikoyan portò dagli Stati Uniti “non solo la linea di produzione per salsicce, salami e polpette (ciò che sarebbe poi diventata la fabbrica per la lavorazione della carne Mikoyan) e l'idea dei fast food (aveva seriamente intenzione di aprire nell’Urss la versione sovietica del McDonalds, ma introdusse solo l’“hamburger sovietico” sotto forma di “polpette mikoyanovskie” a 7 copechi ciascuna), ma anche l'idea che l'industria leggera e alimentare fossero una grande industria. Mikoyan introdusse nell’ambito del commercio sovietico il modello del grande magazzino americano "senza venditori”. Il principale grande magazzino del Paese venne così visto come una piattaforma di ricerca tecnologica.

Il fiore all’occhiello di Mikoyan era l’atelier di moda del GUM, a cui era stato affidato un compito insolito per il commercio sovietico: disegnare abiti e promuovere la moda. L’atelier non faceva che ricevere richieste di persone desiderose di partecipare alle sfilate. Nel 1959, l’atelier comunicò che le collezioni del GUM venivano seguite all’estero e durante le sfilate itineranti per l’Unione Sovietica da 500-600mila persone. A quel tempo simili cifre non le poteva vantare nemmeno Dior. I numeri però non erano tutto. Nel giugno dello stesso anno, le sfilate, aperte al pubblico, della maison francese presero d’assalto il GUM. Le foto delle modelle di Dior per la rivista Life vennero scattate proprio all’interno del grande magazzino.

Il grande magazzino divenne il luogo in cui le donne sovietiche potevano sperare di assomigliare un po’ di più alle bellezze straniere. Fu proprio qui che venne organizzata la leggendaria “Sessione n.200”, mirata a offrire un servizio speciale all’élite del partito. Era il luogo in cui persino nell’epoca del deficit era ancora possibile comprare un vestito di Chanel – il sogno pressoché irraggiungibile di attrici, ballerine, diplomatiche e annunciatrici televisive. Questa sezione era un segreto di Stato. All'ingresso di Piazza Rossa vi era una postazione speciale della milizia. I membri del Politburo e le loro mogli vi erano ammessi senza lasciapassare. Il resto dei "famigliari e vicini" poteva accedervi con lasciapassare multipli sulla base delle richieste del Comitato centrale. Ad esempio, Yuri Gagarin ottenne un lasciapassare singolo dopo il suo volo nello spazio.

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