Laskovyj Maj, la storia sconvolgente della prima boy band dell'URSS

Aleksandr Shogin/TASS
Abuso e sfruttamento di minori, ricatto e un omicidio: ecco la vera storia della prima boy band sovietica, composta da giovani orfani

Lo stadio Luzhniki di Mosca è pieno zeppo di gente. Centinaia di ragazzine fra i 13 e i 15 anni cantano a squarciagola, si sfilano mutandine e reggiseni e li lanciano sul palco.  “Лето – сказочный мир. Лето – время любви для нас”, cantano in coro: “L'estate è un mondo favoloso. L'estate è per noi un momento d'amore”. C’è chi piange; chi bacia una foto del solista; chi stringe la mano all’amica. Sul palco, un ragazzino di 15 anni cresciuto in un orfanotrofio canta toccanti canzoni d’amore adolescenziali. Siamo nel 1989. E il concerto che ha affollato il Luzhniki è quello del gruppo “Laskovyj Maj”. 

In Unione Sovietica non si era mai visto nulla del genere: una boy band di ragazzini era riuscita a conquistare il cuore di tutto il Paese, divenendo il gruppo pop di maggior successo della storia russa. Solamente nel 1989, la band ha tenuto 2.500 concerti, arrivando a una media di quattro o cinque al giorno! Ma come hanno fatto? Questo è solo uno dei tanti paradossi del gruppo “Laskovyj Maj”.

Il 23 giugno 2022, il cantante Jurij Shatunov è morto per un attacco cardiaco a soli 48 anni. 

In questo articolo ripercorriamo la vera storia della band, che si è rivelata una tragica storia di sfruttamento minorile. 

Giovani orfani 

Shatunov aveva 13 anni quando, nel 1986, gli fu chiesto di formare una band insieme ad altri quattro ragazzi provenienti da un orfanotrofio di Orenburg. L'idea di formare una boy band fu di Sergej Kuznetsov, 21enne a capo di un gruppo musicale locale e autore di alcune canzoni. Quel gruppo di ragazzi si esibì per la prima volta lì, sul palco del collegio N. 2 di Orenburg.

Jurij Shatunov

Il nome “Laskovyj Maj” apparve tre mesi dopo la formazione della band, durante il festival amatoriale degli orfanotrofi: il gruppo doveva salire sul palco e farsi annunciare, e per questo si doveva trovare un nome. “Così abbiamo preso le parole della canzone ‘Leto’ (estate, ndr) - raccontò Kuznetsov -. La giuria si aspettava dei ragazzini in cravatta, ma si ritrovò davanti a un gruppo che cantava canzoni d’amore, come ‘La neve danzante’. Ci fu uno scandalo e mi cacciarono dal collegio”.

A metà degli anni Ottanta, infatti, mentre in Occidente spopolavano le boy band, in URSS i ragazzini potevano cantare solo canzoncine dedicate alla patria. Gli adolescenti che cantavano canzoni d’amore non venivano accettati ufficialmente sul palcoscenico o in televisione. “Prima di noi, nessuno aveva mai fatto una cosa del genere, ovvero cantare sul palcoscenico brani dedicati a sentimenti e sofferenze adolescenziali, anziché l’inno ‘Sempre pronto!’”, (un riferimento agli inni dei pionieri, ndr), disse Kuznetsov.

L’unico modo che il pubblico aveva per ascoltare questo tipo di canzonette era attraverso le cassette samizdat, (ovvero copiate e fatte circolare illegalmente). E fu esattamente ciò che fece Kuznetsov: registrò il suo primo album “Rose bianche” su due registratori a bobina e portò il nastro... in una stazione ferroviaria. Nel febbraio del 1988 si mise a passeggiare tra i chioschi della stazione insieme alle sue cassette. Ma nessuno volle comprare quelle registrazioni. Solo un conoscente di Kuznetsov acquistò la cassetta. 

A questo punto, la storia del gruppo “Laskovyj Maj” avrebbe potuto concludersi lì: Kuznetsov era già stato cacciato dal collegio e Shatunov era scappato ancora una volta in Kazakistan, da alcuni suoi parenti. Il gruppo si era sciolto a tutti gli effetti… ma due mesi dopo, iniziò a essere conosciuto in tutto il Paese. E questa svolta cambiò il corso delle loro vite. 

I concerti

La scommessa fu vinta sui treni. Quelle cassette, vendute nelle bancarelle di una stazione ferroviaria, fecero il giro di tutta l’URSS grazie ai capotreni che facevano ascoltare ai passeggeri le canzoni del gruppo “Laskovyj Maj”. Si trattava di canzoni semplici che riuscirono a far breccia nei cuori del pubblico, anche adulto, raccontando sentimenti semplici con melodie semplici, combinando l’estetica adolescenziale con il romanticismo e il melodramma sovietico.

Tra i passeggeri del treno che ascoltarono i “Laskovyj Maj” dai compagni di viaggio ci fu anche il produttore Andrej Razin, anch’egli orfano cresciuto in un orfanotrofio.

All’epoca Razin aveva già lanciato i “Mirazh” ed era alla ricerca di nuovi talenti. “Dovremmo prenderci cura degli orfani”, confessò di aver pensato in quel momento. 

Dopo un po’ di tempo, Razin rintracciò Kuznetsov e lo fece trasferire, insieme ai membri della band, a Mosca. “Il 4 luglio 1988 arrivai a Mosca e lì mi resi conto di alcune cose che mi misero in allarme - avrebbe ricordato più tardi Kuznetsov -. Scoprii che da alcuni giorni Razin aveva organizzato dei concerti usando le nostre canzoni, presentandosi come gruppo ‘Maj’ proprio nel centro della capitale, al parco Gorkij”. 

All'epoca non esistevano leggi che regolassero le attività concertistiche e i diritti d'autore. Nonostante le loro perplessità, Kuznetsov e i ragazzi conclusero un accordo con il produttore moscovita. Razin, senza rendersene conto, promosse un nuovo progetto, modernizzando il modello occidentale di show business: all'apice della popolarità del gruppo, creò diverse sue formazioni ufficiali (e ce ne furono molte non ufficiali) che andarono in tournée in tutto il Paese. 

“Sono salito sul palco e ho cantato per un'ora e mezza con la voce di Shatunov. Pensi che qualcuno abbia detto qualcosa? Hanno cantato, ballato, si sono divertiti”, disse una volta Razin al Primo Canale della televisione russa.

Il produttore Andrej Razin

Nel tentativo di trasmettere in televisione il videoclip di “Rose bianche”, la hit musicale del gruppo, furono messe in circolazione varie leggende. Si disse, ad esempio, che Razin era il nipote dell’allora Segretario generale Mikhail Gorbaciov. Come prova di ciò, utilizzò una fotografia che lo ritraeva mentre abbracciava il futuro Segretario generale. Anche Gorbaciov, infatti, era originario del territorio di Stravopol, e la foto era stata scattata durante uno degli incontri del politico sovietico con la cittadinanza. Grazie a quella foto, pochi giorni dopo fu mandata in onda una registrazione del brano. 

Dopo essersi assicurato il sostegno del Comitato centrale del Komsomol e dell’Unione degli scrittori bielorussi, Razin iniziò a pubblicare a Minsk un giornale dal nome “discreto”: “Laskovyj Maj”, che divenne l'organo di stampa ufficiale del gruppo, disponibile anche su abbonamento. 

Il contrasto tra le dolci tematiche delle canzoni, dedicate ad esempio alle rose bianche che gelano l’anima di un adolescente, e l’atteggiamento sfacciato del cantante sul palco, non fece altro che attirare ancora di più i fan. I ragazzi sovietici degli anni Ottanta iniziarono a identificarsi sempre di più con quella band.   

Nelle sue interviste, Razin non si stancava di ripetere che “l’idea del progetto si fonda su un senso di semplicità, accessibilità e melodiosità”. Ma non fu solo questo a spingere i ragazzini ad andare avanti.

Il lato oscuro del successo

I cinque ragazzi che Kuznetsov e Razin tirarono fuori dal collegio di Orenburg, in seguito avrebbero raccontato che i loro “mentori” li trattavano duramente e persino con crudeltà. Il biglietto di un loro concerto nell’URSS dell’epoca costava 14 rubli, ma i membri del “Laskovyj Maj” venivano pagati appena 30-50 rubli per esibizione. E non avevano nemmeno il tempo per spendere quel denaro! 

Per la maggior parte dell’anno il gruppo teneva in media 5-6 concerti al giorno, dalle 10 del mattino fino a tarda sera. Non cantavano dal vivo, ma interpretavano bene la parte. 

Per ogni sgarro venivano “multati” e costretti a fare 20 concerti gratis. Avevano il divieto assoluto di bere, fumare, usare droghe e andare a letto con le fan. Come avrebbe raccontato molti anni più tardi Jurij Shatunov, il producer del gruppo era affiancato dalla direttrice dell’orfanotrofio, una certa Shatunova, la quale all’inizio della carriera del cantante gli aveva tolto il passaporto, con la scusa di dover compilare alcuni documenti, e lo aveva costretto a lavorare gratis. “Per due anni ho lavorato per lei, esibendomi in concerti”, confessò Shatunov alla trasmissione “Privet, Andrej!”.

L'estate del 1991 fu l'ultima per il gruppo. Kuznetsov chiese a Razin un compenso per l’esecuzione delle canzoni. Ma ricevette un no secco. Il rifiuto fu fatale per il destino della band: Kuznetsov lasciò il gruppo e i tentativi di Razin di trovare un sostituto si rivelarono inutili. Il gruppo, composto da elementi nuovi, stava ormai perdendo popolarità.

Shatunov, allora diciottenne, si trasferì in Germania dove studiò per diventare tecnico del suono.

L’epilogo 

La band si sciolse quindi all’apice della loro popolarità, dopo aver venduto 47 milioni di biglietti nell’arco della sua breve vita. Dopo questa rottura, che coincise con il crollo della stessa Unione Sovietica, gli ex artisti caddero in depressione e si rifugiarono nell’alcol. 

Jurij Shatunov

Uno dei solisti, Igor Igoshin, si è suicidato gettandosi dal quarto piano. Un altro, Maksim Sukhomlinov, avviò un'attività di gioielleria, ma fu ucciso a colpi di pistola davanti all'ingresso di Shatunov a Mosca e morì tra le sue braccia (secondo una versione, gli assassini volevano colpire Shatunov). Il batterista Sergej Serkov lavorò per un certo periodo all'Hotel Slavjanskaja. Konstantin Pakhomov, uno dei solisti, finì a cantare ai matrimoni. Il chitarrista Sasha Priko iniziò a suonare in un bar vicino alla stazione di Nizhnij Tagil ed è morto di cancro nel 2020. Sergej Kuznetsov non ha vinto nemmeno una causa per i diritti delle sue canzoni; è affetto da cirrosi epatica e vive con una pensione di invalidità.

Tra le persone legate al gruppo, la sorte migliore toccò a Jurij Shatunov: mise su famiglia in Germania e nel 2009 andò in tournée per varie città della Russia con le canzoni dei “Laskovyj Maj”. Nello stesso anno è uscito anche un lungometraggio, “Laskovyj Maj”, presumibilmente basato sulla biografia della band. Ma Shatunov e il produttore del film Efim Ljubinskij ammisero che il film si era allontanato molto dalla realtà: “La vera storia di questa band è molto dura e triste, e il pubblico non sarebbe mai andato al cinema a vederla”, dissero.

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