Boris Berezovsky è morto a Londra dove viveva ormai da tempo (Foto: AP)
Il 23 marzo 2013 in Inghilterra è morto Boris Berezovsky. Volendo stare a quanto riportato dalla stampa, la morte sarebbe stata con ogni probabilità causata da un infarto. Un infarto provocato da uno stato di generale depressione del defunto, che si sarebbe aggravato nell’arco dell’ultimo anno, a partire dalla causa persa nel processo contro l’ex socio Roman Abramovich.
Berezovsky faceva parte di quella categoria di persone che non ama perdere. E non sono in grado di farlo. La vita, per loro, significa vincere. Gli ultimi anni dell’emigrato a Londra sono stati tra l’altro segnati da un’intera serie di sconfitte. Tra queste, è stato definitivamente e totalmente messo in ginocchio da Putin.
Dare una sola interpretazione di quanto accaduto, però, non è possibile. Anche Trotskij, al quale viene spesso paragonato l’ex capo di LogoVaz, non era in grado di perdere. Nonostante tutto lottò contro Stalin fino alla fine, fino all’ultimo respiro. Volendo fare un esempio molto più recente, guardiamo a Khodorkovsky: egli si trova in circostanze molto più difficili, ma non dà l’impressione di essere un uomo psicologicamente sconfitto. Trotskij, potremmo dire, si è battuto per la Russia, avanguardia della rivoluzione mondiale. Per quale Russia si sarebbe battuto Berezovsky?
Sarebbe più facile delineare l’immagine del defunto se avanzassimo una tesi molto semplice: egli non era portatore di alcun ideale. Aveva solamente degli interessi. Credo che il suo personale sogno di Russia sia rimasto custodito nel suo cuore.
Alla fine degli anni Novanta un saggio politologo mi disse la seguente frase: la gente simile a Berezovsky ha bisogno di una Russia debole. Una Russia senza un potere forte. Solamente in un Paese così malleabile e sfaldato essi possono portare avanti i propri interessi senza pericolo. L’alternativa migliore per queste persone sarebbe la trasformazione della Russia nella variante euroasiatica di Cipro: un Paese diviso irrimediabilmente a metà, con imposte minime e con strutture di governo per niente efficienti.
Fino a poco tempo fa, esattamente fino alla crisi finanziaria di Cipro, Berezovsky poteva perlomeno sperare che, indipendentemente da quanto fosse moralmente decadente il suo ideale di “Russia debole”, questo ideale fosse condiviso da migliaia di imprenditori russi, alla ricerca di un riparo per i loro capitali nell’isola del Mediterraneo. E che il business, attraverso i soldi e i risparmi, avrebbe votato per un sistema di governo minimo: un sistema che ha trovato una perfetta realizzazione in questo offshore greco-ortodosso.
Ovviamente non voglio in nessun modo collegare l’improvvisa morte di Berezovsky e il suo misterioso ravvedimento con la volontà dell’Unione Europea di mettere ordine nei conti russi a Cipro. E ancora: sono convinto che, per un uomo come Berezovsky, questo avvenimento avrebbe potuto rivelarsi una diagnosi finale in grado di portare fuori dalla storia il suo ideale di “Russia debole”. Di una Russia senza un potere centrale forte.
Berezovsky non era amato. Lo temevano. Ma in lui vedevano l’ideale avventuristico (in senso buono) di migliaia di persone ben disposte in Russia. Ora proprio grazie a Berezovsky tutta questa gente ha capito che negli anni Novanta hanno compiuto un fatale errore, che si sarebbero piegati al fascino di una “Russia indebolita”.
Ora il business russo ha bisogno di nuovi e coraggiosi eroi. C’è bisogno di avventurieri pronti a costruire un nuovo Paese, “forte e sovrano”, dove ci sia comunque posto sia per l’iniziativa economica, sia per la concorrenza politica.
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