L'errore di Stalin che rese la Turchia un membro della NATO

Russia Beyond (Getty Images, Dominio pubblico)
L'assalto diplomatico dell'Unione Sovietica alla Turchia non fece altro che spingere Ankara verso l’Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord

Nel giugno 1945, l'Unione Sovietica era all'apice della sua potenza: la Germania nazista era stata sconfitta, l’intera Europa orientale era saldamente nella sfera d'influenza di Mosca e l'Armata Rossa, la più forte del mondo in quel momento, si preparava a entrare in guerra contro il Giappone e a sferrare un colpo decisivo.

In queste circostanze, la leadership sovietica credeva che fosse giunto il momento di esercitare una pressione diplomatica sulla Turchia, con la quale aveva una serie di importanti dispute militari, politiche e territoriali. La ritrovata autorità e l'enorme influenza dei sovietici, così come il fatto che gli alleati occidentali avevano disperatamente bisogno dell'aiuto sovietico nella guerra contro i giapponesi, convinsero Stalin che trattare con Ankara sarebbe stato come rubare una caramella a un bambino. Gli eventi successivi, tuttavia, dimostrarono il contrario.

Una situazione difficile

La politica della Turchia durante la Seconda guerra mondiale aveva provocato sentimenti molto contraddittori al Cremlino. Da un lato, la proclamata neutralità di Ankara e il rifiuto di far passare la Wehrmacht attraverso il suo territorio furono accolti da Mosca in modo contraddittorio.

D'altra parte, nei giorni più bui del confronto sovietico-tedesco, i turchi mantennero un grande raggruppamento di truppe sul confine meridionale dell'URSS. Nell'autunno del 1941, su invito del feldmaresciallo Gerd von Rundstedt, i generali dell'esercito turco Ali Fuad Erden e Hüseyin Hüsnü Emir Erkilet visitarono i territori sovietici occupati.

Il Cremlino credeva che in caso di sconfitta dell'Armata Rossa, e di caduta di Mosca e Stalingrado, i turchi avrebbero potuto invadere il Caucaso sovietico. “A metà del 1942, nessuno poteva garantire che [la Turchia] non si sarebbe schierata con la Germania”, ha scritto il generale Semjon Shtemenko nelle sue memorie. Respingere un possibile attacco richiedeva forze che erano urgentemente necessarie altrove.

I generali dell'esercito turco Hüseyin Hüsnü Emir Erkilet e Ali Fuad Erden in URSS

Inoltre, l'URSS era convinta che Ankara avesse ripetutamente violato la Convenzione di Montreux del 1936 sullo status del Bosforo e dei Dardanelli, chiudendo un occhio sulle navi da guerra ausiliarie della Kriegsmarine che entravano negli stretti sotto le spoglie di navi mercantili. La questione della sovranità turca sugli stretti aveva tormentato Stalin anche prima della guerra; ora, nel 1945, aveva l'opportunità di affrontarla.

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L’attacco sovietico

Mosca si stava preparando a un conflitto diplomatico con la Turchia; e l'adesione di quest'ultima alla coalizione anti-Hitler, nel 23 febbraio 1945, non fu sufficiente per evitarlo. Nel marzo dello stesso anno, l'URSS denunciò il trattato sovietico-turco di amicizia e neutralità del 1925, e il 7 giugno l'ambasciatore turco in URSS, Selim Sarper, fu convocato per un incontro con il Commissario del popolo (ministro) degli Affari Esteri Vjacheslav Molotov.

Guardie di frontiera sovietiche vicino al confine turco, 1940

Alla parte turca fu comunicato che, poiché Ankara non era in grado di esercitare un controllo adeguato sugli stretti, a partire da quel momento i territori sarebbero stati sorvegliati congiuntamente con l'Unione Sovietica, la cui Marina sarebbe stata dotata di diverse basi nel Bosforo e nei Dardanelli.

Inoltre, l'URSS insistette per rivedere il trattato di Mosca del 1921, con il quale i bolscevichi avevano trasferito alla Turchia le città di Kars, Ardahan e Artvin, più i vasti territori circostanti, che prima appartenevano all'Impero russo. Poiché i governi di Lenin e Kemal Ataturk erano stati in rapporti amichevoli e si erano opposti congiuntamente all'Intesa, questa concessione fu considerata da Mosca come un passo importante e tempestivo verso la costruzione di un’alleanza forte e a lungo termine.

Alla fine degli anni ‘40, tuttavia, l'URSS vedeva la situazione attraverso una lente molto diversa. La stampa sovietica parlava del “tradimento dei turchi”, che avevano approfittato della debolezza della Russia sovietica e delle repubbliche sovietiche caucasiche, della “rimozione forzata” di piccole popolazioni indigene dalle loro terre ancestrali, e della necessità di riunire gli armeni e i georgiani sovietici con i loro fratelli dall'altra parte del confine. “Non ci sono argomenti ragionevoli contro la restituzione di questi territori ai loro legittimi proprietari, i popoli armeni e georgiani”, dichiarò Molotov nell'agosto 1945.

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La controreazione

Un ufficiale turco ispeziona i suoi soldati sul confine turco-sovietico

La pressione di Mosca provocò un forte aumento del sentimento anti-sovietico nella società turca. Stalin fu bollato come “l'erede degli zar russi”, che per secoli avevano cercato di impadronirsi degli stretti del Mar Nero. “I leader dell'ordine rosso sono la continuazione dei Romanov”, dichiarò il Mejlis, l’assemblea turca.

La questione della restituzione dei “territori legalmente appartenenti all'Unione Sovietica” e la revisione dello status del Bosforo e dei Dardanelli fu sollevata dall'URSS anche nei negoziati con le potenze occidentali. “La Convenzione di Montreux è rivolta direttamente contro la Russia... Alla Turchia è stato concesso il diritto di chiudere gli stretti alla nostra navigazione, non solo in caso di guerra, ma anche quando la Turchia ritiene che ci sia una minaccia di guerra, che la Turchia stessa definisce...”, dichiarò Stalin alla Conferenza di Potsdam nel luglio 1945: “Si scopre che un piccolo Stato sostenuto dalla Gran Bretagna può tenere per la gola un grande Stato e non lasciarlo passare... La questione riguarda il libero passaggio delle nostre navi attraverso il Mar Nero. Ma siccome la Turchia è debole [...] dobbiamo avere qualche tipo di garanzia che venga assicurata questa libertà di passaggio”.

Joseph Stalin, Harry Truman e Winston Churchill a Potsdam

Pur concordando verbalmente sulla necessità di rivedere l'accordo sugli stretti, il primo ministro britannico Winston Churchill e il presidente americano Harry Truman respinsero diplomaticamente tutte le richieste dell'URSS di basi e rivendicazioni sui territori turchi. E nemmeno la Convenzione di Montreux fu rivista.

Dopo la sconfitta dei giapponesi e la fine della Seconda guerra mondiale, le relazioni tra gli ex alleati si deteriorarono rapidamente, e la questione turca fu uno dei catalizzatori della nascente guerra fredda. Churchill sollevò la questione nel suo famoso discorso sulla cortina di ferro a Fulton il 5 marzo 1946, che segnò effettivamente l'inizio del grande stallo.

La sua pressione diplomatica su Ankara non portò risultati all'Unione Sovietica. Al contrario, accelerò l'avvicinamento della Turchia agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. Nel 1952, si unì al Trattato Nord Atlantico.

Carri armati americani in Turchia, 1952

Dopo la morte di Stalin nel 1953, “in nome della conservazione delle relazioni di buon vicinato e del rafforzamento della pace e della sicurezza”, Mosca ritirò finalmente le sue pretese sulla Turchia. Anni dopo, uno dei principali attori di quegli eventi, Molotov, lo descrisse come un “impegno inopportuno e impraticabile”.

“Stalin lo considero un politico meraviglioso, ma ha commesso degli errori”, notò l'ex Commissario del popolo.

Nel 1957, il nuovo capo di stato sovietico, Nikita Khrushchev, diede una valutazione emotiva della politica stalinista: “Avevamo sconfitto i tedeschi. Ci girava la testa. Turchi, compagni, amici. Scriviamo una nota e ci consegneranno immediatamente i Dardanelli. Nessuno è così sciocco. I Dardanelli non sono la Turchia. No, loro [...] hanno risposto che stavamo annullando il trattato di amicizia e sputando loro in faccia... È stato stupido. Abbiamo finito per perdere la Turchia come amica e ora abbiamo basi americane nel sud…”.

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