Una donna piange sulle rovine del suo villaggio natale bruciato dai nazisti
Oleg Knorring/SputnikAlla fine del 1941, durante il periodo più critico della Battaglia di Mosca, le forze sovietiche lanciarono una controffensiva su larga scala e allontanarono la Wehrmacht dalla capitale. Allo stesso tempo, nel sud della Russia, l’Armata Rossa riuscì a riconquistare l’importante città di Rostov sul Don, e, vicino a Leningrado, nel corso dell’Offensiva di Tikhvin, inflisse diversi colpi dolorosi alle armate dell’Heeresgruppe Nord.
Spinta da questi successi, la leadership del Paese decise che era giunto il momento di attaccare su tutti i fronti e, come disse Stalin, “non dare tregua ai tedeschi, spingerli verso ovest senza fermarsi, costringerli a consumare le loro riserve prima della primavera… e assicurare così la completa sconfitta delle forze di Hitler nel 1942”. Le argomentazioni del generale Georgij Zhukov sul fatto che l’Armata Rossa non fosse ancora pronta a realizzare piani tanto ambiziosi furono ignorate dal Comandante Supremo.
Contrattacco dell'Armata Rossa vicino a Mosca
SputnikAlla fine di dicembre, le forze sovietiche tentarono di riprendere la Crimea, quasi completamente persa (solo la base principale della Flotta del Mar Nero, Sebastopoli, era stata tenuta). I corpi anfibi sbarcati il 26 e 29 vicino alle città di Kerch e Feodosia subirono pesanti perdite, ma riuscirono a guadagnarsi una testa di ponte nella parte orientale della penisola.
I soldati dell'Armata Rossa a bordo dell'incrociatore "Crimea Rossa" rinforzano le truppe a difesa di Sebastopoli
Aleksandr Sokolenko/Sputnik“Era come se la nave avesse urtato contro qualcosa e fosse rimasta immobile”, ricordò lo sbarco il mitragliere Fjodor Kovalchuk: “Notte, vento, gelo, le rampe da sbarco spazzate via dalle onde, razzi che volavano ovunque, e buio e proiettili traccianti tutto intorno. Si sente il comando: ‘Avanti, per la Crimea!’. Saltiamo in mare, l’acqua mi arriva sopra le spalle, ma con i piedi tocco, il freddo mi pizzica tutto il corpo, ma i miei piedi sono ancora caldi. Non ho tempo per pensare, avanziamo verso la costa…”
Leningrado sotto assedio
МАММ/MDF/russiainphoto.ruIntanto, a nord, l’Operazione offensiva di Luban per sfondare il blocco di Leningrado, iniziata il 7 gennaio, fallì. La seconda città più importante dell’Unione Sovietica stava letteralmente morendo di fame: la gente perdeva i sensi sul posto di lavoro per sfinimento, si registravano casi di cannibalismo e di omicidio per ottenere le tessere annonarie, e le centinaia di cadaveri stesi nelle strade non sorprendevano più nessuno.
Soldati tedeschi a Demjansk
BundesarchivFu solo con l’inizio della primavera che Leningrado cominciò a tornare alla vita. Il 29 marzo un grande carriaggio partigiano accorse qui quasi per miracolo con del cibo e presto furono organizzate delle fattorie che coltivavano verdure nei sobborghi non occupati. Ma nel 1942 l’Armata Rossa non riuscì a rompere l’assedio.
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Soldati del battaglione anticarro in movimento verso Vjazma dopo le battaglie per Rzhev
Aleksej Stolyarov/SputnikLe cose andavano un po’ meglio a sud di Leningrado, nella zona dei laghi Ilmen e Seliger. Il 20 febbraio, come risultato del successo dell’offensiva delle forze sovietiche, furono accerchiate notevoli forze del 2° corpo tedesco e della 3. SS-Panzerdivision “Totenkopf”, per un totale di 95 mila uomini. L’Armata Rossa si mise subito a cercare di distruggere le forze tedesche rimaste intrappolate nella Sacca di Demjansk, ma tutti i suoi sforzi finirono in un nulla di fatto.
Le truppe tedesche vicino Kharkov
Dominio pubblico“Il nemico ha bloccato tutte le strade, e ogni piccolo pertugio alla nostra offensiva”, ricordò il tenente generale Pavel Kurochkin: “I pacifici campi coperti di neve candida davanti ai villaggi potevano trasformarsi in un inferno in un istante non appena ci muovevamo all’offensiva. Ogni metro era bersagliato da numerose mitragliatrici, appostate nei villaggi”. La Luftwaffe riforniva efficacemente gli uomini accerchiati con cibo e munizioni, fino a quando l’accerchiamento fu rotto il 22 aprile 1942 dal Gruppo d’Armate del generale Walther von Seydlitz-Kurzbach.
La riconquista di Rostov sul Don da parte delle truppe tedesche, luglio 1942
Roger Viollet/Getty ImagesCercando di ottenere la vittoria in tutti i settori del fronte in una sola volta, il comando sovietico ottenne solo un successo limitato. L’Armata Rossa, dopo aver allontanato la Wehrmacht da Mosca e liberato vaste aree, non riuscì a sconfiggere l’Heeresgruppe Mitte. Con pesanti perdite, i sovietici furono costretti a fermare l’offensiva alla fine di marzo.
Inoltre, i tedeschi tennero e rafforzarono la testa di ponte vicino a Rzhev, a 200 km dalla capitale. Profondamente incuneato nella difesa sovietica, il saliente di Rzhev-Vjazma divenne una spina nel fianco per la leadership sovietica: il nemico poteva attaccare di nuovo Mosca da qui in qualsiasi momento. Tentativi sanguinosi e infruttuosi di far arretrare i tedeschi vennero condotti durante tutto il 1942.
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Anche l’Armata Rossa aveva un suo saliente: il Saliente di Barvenkovo, formatosi durante l’offensiva invernale in Ucraina, che minacciava i fianchi e le retrovie dei raggruppamenti tedeschi vicino a Kharkov. Da qui, il 12 maggio, le truppe sovietiche lanciarono un’offensiva in direzione di questo importante centro industriale, che presto si rivelò fallimentare.
Soldati sovietici durante una battaglia, luglio 1942
Maks Alpert/SputnikDopo aver respinto gli attacchi dell’Armata Rossa, la Wehrmacht colpì la parte più pericolosa della difesa sovietica, al collo del saliente. Il 22 maggio, l’Armeegruppe Kleist della Wehrmacht, proveniente da sud, si riunì con due divisioni di carri armati della 6ª armata di Friedrich Paulus provenienti da nord, a 10 km dalla città di Balakleja, tagliando il saliente e trasformandolo in una sacca, cioè in una trappola per le truppe sovietiche. Nelle sacca rimasero più di 200 mila soldati sovietici, di cui solo 22 mila riuscirono a sfondare e a riunirsi all’Armata Rossa.
“C’è lo stesso quadro dappertutto: il nemico già ammassato fa dei tentativi qua e là per sfondare, ma è già di fronte a un crollo… Folle di prigionieri si riversano nelle retrovie, i nostri carri armati e le unità della 1ª divisione di montagna attaccano nelle vicinanze; un quadro stupefacente!”, scrisse il Feldmaresciallo Fedor von Bock, comandante dell’Heeresgruppe Süd tedesco.
Il disastro di Kharkov e la sconfitta delle forze sovietiche nella parte orientale della Crimea, che si verificarono in contemporanea, permisero alla Wehrmacht di iniziare ad attuare l’Operazione Blu (in tedesco: “Fall Blau”), la campagna militare per accaparrarsi il petrolio caucasico. I depositi in Siberia non erano ancora stati scoperti, e Baku, Groznyj e Majkop rappresentavano più del 70% della produzione sovietica totale. La loro conquista o distruzione da parte del nemico avrebbe potuto immobilizzare l’Armata Rossa e minare l’economia dell’Urss e la sua capacità di resistere ulteriormente.
Fanti tedeschi sulle cime del Caucaso, settembre 1942
Roger Viollet/Getty ImagesIl comando sovietico si aspettava un nuovo attacco su Mosca e non reagì tempestivamente all’offensiva tedesca verso sud. Il 28 giugno la 4. Panzerarmee di Hermann Hoth sfondò il fronte tra Kursk e Kharkov e si precipitò verso il Don. Il 3 luglio i tedeschi arrivarono a Voronezh, il 4 luglio cadde Sebastopoli, che fu tenuta 250 giorni, e il 23 luglio fu ripresa dai nazisti Rostov sul Don, la prima grande città liberata dall’Armata Rossa nel novembre 1941. Dopo la sua perdita, la comunicazione tra la parte europea dell’Urss e il Caucaso era ormai possibile solo attraverso Stalingrado. Quest’ultimo collegamento doveva essere tagliato dall’Heeresgruppe B, comandato dal generale Maximilian von Weichs, che comprendeva la 6ª Armata di Friedrich Paulus, che divenne presto famosa nel mondo.
Questa seconda vita della “guerra lampo” tedesca nel Sud dell’Unione Sovietica, scioccò la leadership sovietica. Il 28 luglio 1942 il Commissario del popolo per la difesa dell’Urss Stalin firmò il celebre “Ordine numero 227”, “Sulle misure per rafforzare la disciplina e l’ordine nell’Armata Rossa e il divieto di ritiro non autorizzato dalle posizioni di combattimento”, comunemente noto come “Non un passo indietro!” (in russo: “Ни шагу назад!”; “Ni shágu nazád!”). L’ordine stabiliva la creazione di “battaglioni di disciplina” dove “ufficiali, comandanti e commissari politici che hanno infranto la disciplina a causa di codardia o instabilità, dovranno essere inviati. Questi battaglioni dovranno essere impiegati nelle più difficili sezioni del fronte, dando così ad essi l’opportunità di riscattare i loro crimini contro la Madrepatria con il sangue”.
Inoltre stabiliva la creazione dei cosiddetti “zagranotrjad”; le “unità di sbarramento della guardia”, composte da non più di 200 uomini, in ogni divisione. Dovevano essere collocati “nelle immediate retrovie delle divisioni instabili, e, in caso di caotica ritirata delle unità, dovevano sparare sul posto a chi si faceva prendere dal panico e ai codardi e aiutare così i soldati onesti a compiere il loro dovere davanti alla Madrepatria”.
Truppe sovietiche a Stalingrado
Georgij Zelma/МАММ/МDF/russiainphoto.ruAvendo l’iniziativa dell’attacco e la superiorità numerica, le truppe dell’Heeresgruppe A del feldmaresciallo Wilhelm List sfondarono rapidamente verso sud. Si impadronirono delle ricche regioni agricole del Don e del Kuban, della Penisola di Taman e raggiunsero le pendici della Grande Catena del Caucaso. Il 21 agosto le bandiere tedesche furono issate su entrambe le cime del monte Elbrus. A settembre, tuttavia, l’offensiva tedesca cominciò a rallentare sensibilmente.
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“In ostinate battaglie difensive, le truppe sovietiche inflissero pesanti perdite al nemico, bloccandolo sul fronte del Caucaso”, ricordò il generale Andrej Grechko, comandante della 47ª Armata (e futuro ministro della Difesa dell’Urss): “L’eroica difesa delle nostre truppe sventò il piano di Hitler di irrompere nel Caucaso, diede al Comando Supremo Sovietico l’opportunità di guadagnare tempo, accumulare riserve e rafforzare il fronte transcaucasico. Le esauste forze tedesche non erano più in grado di avanzare su un ampio fronte. Il trasferimento di riserve verso l’Heeresgruppe A dalla zona Stalingrado era fuori questione. La 6ª e la 4º armata di carri armati ,bloccate sulla riva del Volga, avevano loro stesse già bisogno di rinforzi…”.
In autunno la leadership del Terzo Reich, che fino ad allora aveva considerato il Caucaso come una priorità, spostò tutta la sua attenzione su Stalingrado, che richiedeva sempre più uomini. I tedeschi volevano prendere la città il più rapidamente possibile, per cacciare l’Armata Rossa al di là del Volga, e liberare le sue forze per continuare la “campagna del petrolio” del Caucaso e per colpire Mosca da sud.
La 6ª Armata del generale Friedrich Paulus, forte di 300 mila uomini, fu completamente impegnata in feroci e sanguinose battaglie di strada. A novembre le forze sovietiche erano bloccate sul Volga e occupavano solo piccole teste di ponte sulla riva, vicino a diverse fabbriche. “Eravamo pieni di pidocchi, affamati, ma a un certo punto mi prese come una frenesia; non sentivo più alcuna pietà per me o per i tedeschi…”, ha ricordato il soldato Milja Rosenberg: “Combattevamo per ogni pezzo di muro con estrema crudeltà, e di notte sia noi che i tedeschi strisciavamo in avanti o cercavamo di avanzare attraverso le fognature e le gallerie della fabbrica; noi per rifornirci di cibo e munizioni, i tedeschi per spingerci nel Volga”.
L'Armata Rossa durante l'operazione Little Saturn
Dominio pubblicoIl 19 novembre, quando i tedeschi pensavano che la vittoria fosse già in tasca, iniziò l’operazione sovietica “Urano”. Del tutto inaspettatamente per il nemico, l’Armata Rossa sferrò potenti colpi sui fianchi della 6ª Armata, che erano difesi da unità romene piuttosto vulnerabili. In quattro giorni, l’anello di accerchiamento intorno al grande raggruppamento di Paulus si chiuse.
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L’Operazione Marte, iniziata il 25 novembre nella zona del Saliente di Rzhev-Vjazma, doveva seguire uno scenario simile a quello dell’Operazione Urano. Tuttavia, la 9ª Armata del colonnello generale Walter Model non si lasciò accerchiare come era successo alla 6ª Armata: qui non c’erano truppe romene deboli sui fianchi e gli attacchi sovietici furono schiacciati dalle ben preparate difese tedesche. Nonostante il fallimento, l’Operazione Marte bloccò le divisioni tedesche che dovevano essere inviate a Stalingrado.
Hitler ordinò a Paulus di mantenere le sue posizioni. Sperava che la Luftwaffe avrebbe rifornito con successo le divisioni accerchiate attraverso un “ponte aereo”, come era già successo in precedenza, quell’anno, a Demjansk. Intanto, il 12 dicembre, come parte dell’Operazione Tempesta Invernale (in tedesco: Unternehmen Wintergewitter), le truppe dell’Heeresgruppe Don, guidate dal feldmaresciallo Erich von Manstein, andarono a cercare di rompere l’anello di accerchiamento. Colpendo dove il comando sovietico non se lo aspettava affatto, i tedeschi furono in grado di ottenere l’effetto sorpresa.
Il feldmaresciallo Friedrich Paulus, il generale Arthur Schmidt e Wilhelm Adam, aiutante del comandante della 6° Armata
Georgij Lipskerov/МАММ/МDF/russiainphoto.ru“Le unità erano affamate di notizie rassicuranti”, ricordò Joachim Wieder, un ufficiale dei servizi segreti della 6ª Armata: “Le truppe avanzate stavano resistendo con ogni sforzo, sperando che ora, mentre si avvicinava il Natale, Hitler avrebbe mantenuto la sua promessa e li avrebbe salvati. La frase ‘Manstein sta arrivando!’ era ancora sulla bocca di tutti…”. Le speranze dei tedeschi non si realizzarono: la resistenza ostinata delle truppe sovietiche e l’arrivo di rinforzi sotto forma della fresca 2ª Armata delle Guardie del generale Rodion Malinovskij fermarono il nemico a 48 km dalla città. Paulus non non osò mai cercare di sfondare per riunirsi alle forze di Manstein.
Allo stesso tempo, a nord-ovest di Stalingrado, nella zona della grande ansa del fiume Don entro i limiti dell’Operazione Piccolo Saturno, le armate sovietiche sconfissero dieci divisioni italiane e romene e sfondarono il fronte nemico per 340 chilometri di profondità. Quando il pericolo incombeva già sulle retrovie dello stesso Heeresgruppe Don, Manstein cominciò a ritirarsi.
I soldati sovietici celebrano la loro vittoria a Stalingrado
Georgij Zelma/SputnikIl fiasco di uno dei migliori gruppi d’armate della Wehrmacht costrinse Adolf Hitler a ordinare il ritiro delle sue truppe dal Caucaso e a dire addio al sogno dei suoi ricchi giacimenti di petrolio. Il comando dell’Armata Rossa pianificò di iniziare il nuovo anno 1943 con una serie di operazioni offensive su larga scala lungo tutta la lunghezza del fronte sovietico-tedesco. L’Urss stava lentamente ma inesorabilmente prendendo l’iniziativa strategica della guerra nelle proprie mani.
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